La recente epidemia da Covid-19 ha portato alla ribalta, oltre a figure professionali già note del mondo scientifico (quali medici e virologi), anche altre di recente conio, quali ad es. i cosiddetti “epidemiologi”, vale a dire tutti quegli scienziati (non necessariamente medici di formazione) che applicano modelli previsionali matematici/quantitativi, nel tentativo di prevedere l’evoluzione della diffusione del contagio.

Nella categoria degli epidemiologi possono essere ricompresi anche scienziati di indiscusso valore, come ad es. Alessandro Vespignani, fisico di formazione, tra i primi ad introdurre le metodologie di Big Data Analytics nell’ambito della fisica delle particelle.

Tuttavia, nella suddetta categoria vi si sono iscritti anche soggetti che, pur potendosi definire in senso lato uomini di scienza, hanno però dimostrato nei fatti poca o scarsa dimestichezza con l’analisi dei dati, dando luogo a polemiche spesso infruttuose tra gli “addetti ai lavori”.

Il coro stonato degli esperti (o sedicenti tali)

Tali polemiche tra epidemiologi si sono poi aggiunte all’altrettanto poco edificante contrasto di opinioni tra medici e virologi, amplificato dal corto circuito politico e mediatico, lasciando di conseguenza sconcertati i comuni cittadini alle prese con le conseguenze spesso drammatiche della pandemia.

Non deve quindi stupire se tale “coro stonato” ha esacerbato le preesistenti diffidenze nutrite da molti verso i cosiddetti “esperti”, che si sono poi estese inopitatamente anche verso la stessa Scienza, finendo così per gettare via la proverbiale acqua con dentro il bambino…

E il richiamo alla “lesa maestà” profferito da alcuni esimi scienziati non è stato certo di aiuto, anzi al contrario ha esagitato ulteriormente gli animi.

Vediamo perchè.

Non confondere le Scienza con gli scienziati

Uno dei sofismi sottostanti alla narrazione mediatica dell’epidemia sostiene che contrastare le opinioni dei medici, o più in generale degli scienziati, significhi automaticamente iscriversi al partito trasversale dei “negazionisti” (termine orrendo, oltre che inopportuno, essendo stato mutuato acriticamente dalla tragedia della Shoà del secolo scorso).

L’artificio retorico utilizzato consiste nel confondere la Scienza (con la “S” maiuscola) con gli scienziati, considerando di conseguenza i pareri di questi ultimi automaticamente caratterizzati dalla stessa credibilità vantata dalla Scienza in quanto tale.

In realtà, la Scienza è effettivamente in grado di aver ragione anche degli errori dei singoli scienziati soltanto nel lungo periodo: essa infatti procede per “congetture e confutazioni” (per rievocare una felice espressione coniata da Karl Popper), proprio sottoponendo al vaglio stringente della verifica dei fatti le posizioni avanzate dai vari scienziati e ricercatori.

Pertanto, il parere del singolo scienziato è per definizione sempre soggetto al vaglio delle evidenze empiriche, e non può godere ipso facto della stessa attendibilità riconosciuta alla Scienza in quanto tale.

Non deve quindi stupire che, nel breve periodo, le diverse opinioni degli scienziati possano essere discordanti tra di loro, specie di fronte a fenomeni di recente manifestazione (come lo stesso Covid 19), essendo questo, al contrario, il modo fisiologico in cui la stessa Scienza progredisce nell’acquisizione delle conoscenze.

Inoltre, pur essendo basata sui dati, la conoscenza scientifica tuttavia non si riduce ad essi.

La suggestione ingannevole della obiettività dei dati

A dispetto di quanto si voglia far credere, il riferimento ai dati non rende automaticamente “oggettivo” e “scientifico” un modello quantitativo.

Al contrario, l’effetto “alone” dei numeri viene spesso utilizzato (anche in questo caso pretestuosamente) per attribuire una parvenza di scientificità a metodiche che ricordano più la numerologia che la scienza…

Ad essere considerati “obiettivi” e “scientifici” sono le metodologie di analisi e il corredo teorico che le sostiene, non i dati e/o i singoli modelli che su di essi si basano.

L’impiego di modelli quantitativi di analisi, spesso anche molto sofisticati, se utilizzati in contesti non appropriati, ha la stessa attendibilità e accuratezza delle previsioni metereologiche.

Di fronte a fenomeni quali le pandemie e i comportamenti sociali, caratterizzati da elevata complessità (vale a dire da meccanismi a retro-azione che possono rapidamente modificare lo scenario di riferimento, sia in meglio che in peggio), difficilmente i modelli matematici sono in grado di tener conto della natura mutevole dei fenomeni.

Nel caso dell’analisi dell’evoluzione delle pandemie, occorre inoltre che i razionali su cui si basano i modelli matematici predittivi, siano sottoposti al vaglio dei medici, al fine di verificarne l’attendibilità e la verosimiglianza delle ipotesi.

Altrimenti il rischio è quello di “confondere la mappa” (il modello matematico) “con il territorio” (il fenomeno oggetto di analisi), e prendere di conseguenza decisioni niente affatto razionali, a dispetto della quantità di equazioni utiilizzate nel modello…

Meno matematica e più tamponi!

La realtà dei fatti, come spesso capita, è purtroppo più prosaica: la carenza di mezzi e di organizzazione rende difficile porre in essere le tradizionali e affidabili misure diagnostiche, quali i tamponi, e si tenta quindi di ovviare al problema ricorrendo a espedienti da “apprendisti stregoni”, di cui le tracking apps rappresentano solo l’ultimo esempio in ordine cronologico.